LINK UTILI

http://helpmetodo.altervista.org/

https://www.polimi.it/fileadmin/user_upload/Studenti/Spazio_ascolto/studiare_bene.pdf

 

IMPARARE A STUDIARE

Appunti del corso tenuto agli studenti dal prof. Rosario Mazzeo in diverse parti d’Italia

 

Tipi di studio

In genere, vengono distinti tre tipi di studio:

– meccanico,

– assimilativo,

– creativo o critico.

  • Lo studio meccanico o mnemonico è lo studio – assorbimento di nozioni slegate, generiche e, quindi, pressoché inutili. È quel tipo di attività che giustamente ti annoia, perché riduce la tua umanità a spugna o a carta assorbente. Basato sulla lettura a voce alta e sulla ripetizione, ridotto a puro condizionamento, cioè ad un atto subito, è un apprendimento di basso livello (apprendimento meccanico), perché non favorisce né il profitto intellettuale né la gioia dell’imparare.
  • Lo studio assimilativo o concettuale si fonda sull’assimilazione dei concetti o concettualizzazione. I concetti sono i significati. E siccome questi sono concretizzati e veicolati dalle parole, studiare significa assimilare dei contenuti (nozioni, informazioni, ecc.) e nello stesso tempo arricchire sempre di più ed organizzare sempre meglio il proprio vocabolario. Studiare in questo senso significa cercare di diventare padrone del linguaggio verbale, musicale, artistico, tecnico, ecc.
  • Lo studio è detto critico quando diventa attività in cui lo studente assume iniziative personali, formula giudizi, elabora concetti, controlla e verifica informazioni, mette al centro dell’attività conoscitiva la persona, le sue domande. Questo tipo di studio viene sostenuto solo dalla presenza di adeguate ragioni personali, che tengano conto delle esigenze di verità e di felicità. Si tratta di uno studio che, inserito in un progetto di crescita della propria persona, di scoperta e di realizzazione del proprio compito nella società, diventa ricerca dell’Infinito.

 

 

 Imparare a studiare

 

Imparare a studiare significa apprendere un metodo che aiuti ad approfondire le ragioni e i passi dello studio creativo o critico.

Le pagine che seguiranno intendono accompagnarti su questa strada. Ti saranno utili a condizione che accetti di verificare lealmente l’ipotesi che imparare e studiare, prima ancora che un dovere, sono un bisogno ed un piacere.

 

 

Caratteristiche del metodo di studio

 

Lo studio è un cammino avventuroso, necessario, lungo come la vita e la storia di un individuo. Ora un cammino presuppone un punto di partenza, una strada, dei mezzi e una meta finale.

Chiamiamo metodo la strada e tutto ciò che usiamo e facciamo per raggiungere la meta. Metodo, infatti, etimologicamente significa: lungo o attraverso il cammino.

Il metodo di studio è l’insieme dei passi compiuti per studiare nel modo personale più sicuro, spedito, adeguato, efficace possibile.

La personalizzazione

Non si impara se non c’è impegno. L’apprendimento, infatti, è un’iniziativa personale che dipende dalle motivazioni, dalla disponibilità, dalle maturazione delle capacità e dallo stile di vita dello persona.

Il metodo è una strada, ma se se uno non vuole camminare, non serve nessun tipo di strada: né sentiero né autostrada.

Come si impara a camminare camminando, così s’impara a studiare studiando. Il metodo di studio è un premio a chi… studia.

Non dire, dunque, “Non studio perché non so studiare” oppure “Comincerò a studiare quando avrò appreso un metodo”. Comincia a studiare così come ti viene richiesto dai tuoi docenti, acquisterai a poco a poco il tuo metodo di studio

La funzionalità disciplinare

Il metodo deve essere funzionale, cioè adeguato alla materia.

Studiare matematica, per esempio, comporta dei procedimenti diversi dallo studiare arte, perché quest’ultima disciplina ha una struttura e dei principi diversi rispetto alla prima.

Il metodo deve essere, inoltre, rispettoso dell’oggetto di studio. Non si può, per esempio, ridurre gli argomenti di storia ad una poltiglia di nozioni, che non ha nulla a che fare con la storia, che è conoscenza critica del passato.

 L’efficacia

Un metodo autentico deve essere efficace, cioè permettere il raggiungimento dello scopo, che è quello di imparare da uomini.

Il metodo di studio è efficace se:

  1.  permette allo studente il massimo rendimento

– nel più breve tempo possibile

– con il minimo sforzo;

     2. garantisce la qualità dell’istruzione nel tempo, per cui man mano che i giorni passano

– si impara di più

– si approfondisce meglio il proprio sapere.

 

Il fascino

Il fascino è un aspetto dello studio. Il metodo deve favorire il manifestarsi di questo fascino rendendo piacevole lo studio.

Lo studio diventa piacevole a tre condizioni:

a) che si sia consapevoli di quello che si studia e del perché si studia

b) che si abbia la certezza di raggiungere l’obiettivo

c) che non comporti più fatica del dovuto.

 

Il realismo

Studiare non significa “secchiare”: circondarsi solo di libri, non vedere o non pensare altro all’infuori dello studio e delle interrogazioni, rimanere ore ed ore attaccati alla scrivania.

Lo studio è una forma consapevole di apprendimento finalizzata alla scoperta e alla manipolazione intelligente della realtà attraverso le discipline scolastiche (storia, matematica, chimica, ecc.), in vista della propria umana realizzazione.

Il metodo di studio deve perciò aprire a tutta la realtà: al gioco, allo sport, alla natura, agli amici, alla musica, ecc.

È vero studente chi sa vivere, cioè chi sa imparare da tutto e da tutti: sa fare delle valide ed interessanti esperienze dentro e fuori la scuola.

Per questo se vuoi imparare a studiare, non devi sciupare nessuna esperienza, ovvero devi vivere con consapevolezza, stupore ed intelligenza la tua giornata, interrogando e lasciandoti interrogare dalle cose, esercitando il più possibile l’attenzione in ogni attività, riflettendo sul tuo io in azione.

 

Basi dello studio

Conoscere significa incontrare ed accogliere qualcosa o qualcuno.

La prima reazione all’incontro è un sentimento di stupore. Questa parola, etimologicamente significa: reazione ad un qualcosa d’imprevisto, di inaspettato, da cui siamo stati come battuti, colpiti.

Stupore ed intelligenza

Lo stupore è stato definito la molla della conoscenza, di ogni conoscenza, anche di quella scientifica. Infatti “la ricerca scientifica prende l’avvio da problemi pratici e teorici, cioè da aspettazioni deluse, da scoppi di meraviglia” (D. Antiseri).

Non credere, dunque, che lo stupore sia cosa di bambini o di ingenui. Essere capaci di meraviglia è segno di intelligenza, perché come nota un filosofo francese “Lo stupore è la grazia essenziale dell’intelligenza” (G. Marcel)

 

Il coraggio di accogliere

Si potrebbero indicare le qualità del vero studente con la sigla O.S.A.R.E: Osservare, Stupirsi, Ascoltare, Ricevere, Esperimentare.

Questi verbi sono pressoché sinonimi. Significano, infatti, “entrare in contatto con la realtà in modo attivo e rispettoso di tutti gli elementi che la compongono”.

Lo studio, come del resto la vita, comporta sempre un rischio: l’inizio di un’avventura, che non si sa come andrà a finire, e la rinuncia a qualcosa (esempio: alla propria ignoranza).

Da qui il dovere di Osare che in questo caso vuol dire essere disponibili ad imparare sempre, a sintonizzarsi con la realtà, ad accogliere, smettendo di pensare che il mondo coincida con il proprio io o che gli altri siano specchio e strumento di noi stessi. Il vero studio, in altre parole, richiede coraggio.

Bisogna, infatti, essere coraggiosi per superare pregiudizi e per imparare da tutti e da tutto: occorre avere il coraggio di stupirsi e di accogliere.

 Come imparare a stupirsi ed accogliere?

Per risvegliare la meraviglia e la simpatia di fronte a ciò che incontriamo, vediamo, leggiamo, ascoltiamo, bisognerebbe:

* tenere gli occhi bene aperti, osservando la realtà senza pregiudizi, ascoltando senza prevenzioni, stando sempre allerta;

* amare il silenzio e la compagnia (di uomini, libri, ecc.) che sanno risvegliare in noi l’ammirazione e stimolare la nostra curiosità;

* esercitare l’attenzione e la capacità di far domande.

 Otto regole per l’attenzione

1 – Non pretendere di fare mille cose contemporaneamente

2 – Prendere le distanze da persone, rumori, cose, situazioni che potrebbero distrarre durante lo studio. È bene, perciò, oltre che spegnere la TV e simili, ripulire il tavolo dal materiale (fogli, libri, adesivi, manifesti, riviste, ecc.) che non c’entra con l’attività dello studio o con la esecuzione del compito.

3 – Prima di iniziare l’attività concentrarsi per un momento come fanno gli atleti prima delle loro gare. Infatti non è opportuno il passaggio immediato dallo svago al lavoro.

È meglio progettare il percorso di studio che buttarsi a razzo su libri e quaderni e avere l’illusione di terminare in “quattro e quattro otto”.

4 – “Ciò che non si apprende in mezzo secondo, o lo si apprenderà male o non lo si apprenderà per niente”. Ne consegue che se si vuole risparmiare tempo e fatica nello studio, si deve impegnare tutta la propria attenzione subito e mantenerla istante dopo istante.

5 – Creare in classe un clima di amicizia e di solidarietà tra insegnanti e compagni. È questa una base necessaria per lavorare insieme con piacere, con gusto e, quindi, con attenzione.

6 – Durante lo studio aiutarsi con “trucchi” del tipo:

* sottolineare, visualizzare, schematizzare

* concedersi al momento opportuno due o tre minuti di riposo,

* iniziare lo studio dagli argomenti o dalle materie più difficili e noiosi,

* cercare di anticipare le conclusioni dei fatti o dei ragionamenti che il testo ti sottopone (gioco del chiudo il libro ed indovino).

7 – Preparare con una lettura esplorativa o con domande personali l’argomento che sai verrà sviluppato il giorno dopo.

8 – Curare l’alimentazione e la respirazione

(cfr. MAZZEO R., Un metodo per studiare, Il Capitello, 1990, p.53, 105, 266)

 

 Interrogare e lasciarsi interrogare

Per studiare bene e con gusto occorre essere curiosi, coltivare il desiderio di fare domande e di affrontare ogni tipo di problema. “Lo studio e la ricerca della verità e della bellezza rappresentano una sfera di attività in cui è permesso di rimanere bambini per tutta la vita” (A. Einstein)

1 – Interrogare il libro di testo

Un testo è il frutto delle domande, che l’autore si è posto attorno ad una certa realtà o ad un certo argomento.

Studiare un capitolo o gli appunti di una lezione, perciò, vuol dire fare emergere domande, valutarne la portata, verificarne le risposte.

Per interrogare, però, occorre essere capaci di ascoltare (se si tratta di un testo orale) e di leggere (il testo scritto) con attenzione, senza pregiudizi, tutto.

Dall’ascolto e dalla lettura (di tutto, ripetiamo: del titolo, dei sottotitoli, delle immagini, ecc.) nascono domande che potrebbero essere formulate secondo lo schema.di Aristotele: Chi? cosa? come? quando? dove? perché? con quali mezzi?oppure con proposizioni del tipo: Cosa accadrebbe se…? Cosa si deve fare affinché…?

1.1. Primo gruppo di domande

Nell’uno e nell’altro caso, a seconda del contenuto, delle finalità e del tipo di testo, possiamo distinguere le domande in:

meccaniche, domande-ponte, personali.

Per capire meglio questa distinzione, prendiamo un capoverso di un capitolo di storia:

“Già sappiamo che nel 1543 Copernico aveva esposto una rivoluzionaria teoria astronomica, secondo la quale la terra gira attorno al sole. Un’affermazione contraria a ciò che è scritto nella Bibbia e che aveva perciò destato l’opposizione di molti teologi: i primi a condannare la teoria eliocentrica (elios in greco significa sole) di Copernico erano stati, già nel 1549, i luterani”.

(AA.VV. Storia 2, Bruno Mondadori 1982, pag.149)

Leggendo tale capoverso, potrebbero sorgere queste domande:

A – Quando Copernico aveva esposto la sua teoria? Cosa sosteneva? A quale affermazione era contraria? Di chi aveva suscitato l’opposizione?

Si tratta in questo caso di domande meccaniche, in quanto vengono formulate rendendo interrogative dirette le frasi del testo.

B – Perché la teoria di Copernico è rivoluzionaria? Perché e da chi viene condannata?

Queste vengono chiamate domande-ponte: nascono prestando attenzione al filo del discorso, ai singoli passaggi, allo specifico dell’argomento.

C – Chi era Nicolò Copernico? In base a cosa sosteneva la sua teoria? Perché prima si credeva il contrario? Quali le conseguenze della teoria di Copernico e della sua condanna?

Qui evidentemente si tratta di domande personali, in quanto sono espressione del bisogno, che ha lo studente, di approfondire e di collegare lo studio con il sapere già acquisito.

1.2. Secondo gruppo: domande nozionistiche e metodologiche

Le domande nozionistiche sono del tipo: cosa? chi? quando? dove? perché? come?

Le domande formulate nel paragrafo precedente sono in un certo senso di tipo nozionistico.

Quelle metodologiche hanno come oggetto non tanto le nozioni, quanto i punti di vista specifici delle discipline. Variano quindi a seconda della materia che si sta studiando.

Per esempio, in storia, che come sai è una scienza che si basa sui documenti scritti, non basta sapere semplicemente cosa è successo, occorre rendersi conto di come quel determinato fatto è riportato ed è stato interpretato o è interpretabile. Sorgono, perciò, domande del tipo: come e da chi viene documentato il fatto? come viene spiegato? quali cause e quali conseguenze vedono gli storici in questo fatto?

Il capoverso su Copernico, sopra riportato, inizia con un “già sappiamo”, che ha la funzione di richiamare l’attenzione su un documento o un passo precedente.

2 – Interrogare i professori

Le domande agli insegnanti possono essere poste prima, durante e dopo la lezione, la lettura o qualsiasi altra attività di studio. Non importa come vengano formulate. Ciò che conta è che siano il più possibile chiare.

Non avere paura né vergogna. Non bisogna, infatti, dimenticare che

* gli insegnanti vengono a scuola perché tu possa imparare, cioè perché le tue domande abbiano una risposta e diventino sempre più numerose e precise;

* non esistono domande stupide: sono stupidi soltanto gli studenti che si astengono dal fare domande quando non hanno capito;

* è utile prendere nota delle domande che nascono anche nello studio a casa per poterle rivolgere il giorno dopo all’insegnante.

3 – Occhio alle interrogazioni

Per imparare a porre domande a sé e agli altri, è opportuno prestare attenzione, oltre ai quesiti proposti dai manuali (in genere al termine del capitolo), alle interrogazioni, in particolare alle domande poste dall’insegnante.

L’interrogazione è un momento molto importante del processo di studio. Non considerarla semplicemente un controllo ai fini del voto. Può essere un’occasione per approfondire l’argomento, per chiarire i punti oscuri e per esercitarsi nella formulazione e nell’annotazione delle domande.

Diciamo “annotazione”, perché è bene scrivere sul proprio quaderno i quesiti, a cui in quel momento magari non si sa rispondere, mentre nello studio pomeridiano potrebbero diventare spunto per ripasso o per una ricerca.

4 – Non censurare nessun “perché”

L’essere umano è fatto per domandare e per ricevere risposte. Tutto attorno a lui lo invita a farlo: i fenomeni della natura, la presenza dei suoi simili, la percezione di una realtà complessa, varia, misteriosa.

Bisogna che nello studio e nella scuola si riprenda a dare retta al “cuore” dello studente e dell’insegnante e di quanti vivono e operano in essa.

È assurdo, illegittimo, atto di violenza predeterminare, filtrare, circoscrivere le domande dell’uomo studente.

Non ci sono solamente le domande dei programmi, delle interrogazioni formali (e non), dei libri di testo. Ci sono domande d’altro, questioni che ci vengono poste e che constatiamo in noi e negli altri, sono domande di felicità, di giustizia e di amore.

5 – Cercare sempre, partendo da un’ipotesi positiva

Porre domande adeguate è desiderare ed impegnarsi a trovare risposte adeguate senza esaurire la categoria della possibilità è regola di ogni vera ricerca.

Il gusto esploratorio, infatti, è analogo a quello di un individuo che si reca in un paese straniero (esempio, in India). Qui tutti i simboli che il viaggiatore incontra gli risultano illeggibili perché non possiede le categorie per interpretarli. Se egli, però, suppone che essi non siano privi di significato, si mette a cercare una chiave interpretativa con la certezza che questa esista davvero. Se non partisse da questo atteggiamento di fiducia, non si metterebbe neppure a cercare.

La domanda, se è vera, implica un impegno per la risposta, ma questa attinge energia da un credito di fiducia dato alla realtà.

Da cosa viene favorito questo credito? Dal gusto dei legami, da una trama di rapporti che non censurano nulla, ricordano che “siamo nani sulle spalle dei giganti” (Giovanni di Salisburgo, sec. XII), sollecitano a verificare le ipotesi che vengono consegnate nell’educazione, come afferma Goethe: “quel che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”.

6 – Non fermarsi alle nozioni, alla superficie del sapere

Imparare a porre domande e cercare risposte è imparare a rapportarsi alle discipline di studio in modo critico e significativo.

Si tratta di accettare la sfida che esse pongono con le loro domande e ipotesi di risposta: accettare la crisi del nostro sapere e del nostro rapporto con la realtà prendendo sul serio i problemi, ciò che esse mettono davanti agli occhi, senza rinunciare all’essenza delle cose.

In quest’ottica studiare è pensare, porre ed ascoltare domande, argomentare, discorrere con altri e quindi con se stessi.

5 – Quattro operazioni per ben studiare

Le operazioni che uno studente compie per imparare con profitto e con gusto sono parecchie.

Per poterle più facilmente ricordare nel loro peculiare significato le indichiamo con alcuni composti di prendere e che potrebbero essere considerati parenti del verbo apprendere. A fianco di ognuna diamo una spiegazione, indichiamo la facoltà umana maggiormente impegnata e l’attività da svolgere nella lettura.

Sono operazioni che si implicano e si richiamano a vicenda nella soluzione di quel problema che si chiama studio attraverso un testo orale (la lezione), scritto (il capitolo assegnato), multiplo (il documentario proposto per approfondire un certo argomento). Le illustriamo separatamente per esemplificare il discorso.

6 – Pianificare tempo ed attività

Lo studente è un singolare tipo di lavoratore o, se preferisci, di atleta, di professionista. “Anche lo studente svolge una professione – sia pure con caratteristiche peculiari – e anche per lui si può parlare dell’esistenza di una certa professionalità” (Di Fazio)

L’indice della “professionalità” di uno studente è misurato dalla sua capacità di pianificazione.

1 – Memorandum della pianificazione intelligente

Pianificare un’attività in modo razionale significa “tenere presente tutti i fattori implicati in quell’attività che nel caso dello studio sono: le capacità e i ritmi di apprendimento personali, la quantità e la scadenza dei compiti, il bisogno e il dovere di imparare, le richieste della famiglia e della scuola frequentata.

Per questo è necessario, innanzitutto, conoscere e valutare se stessi con lealtà e con realismo, e, in secondo luogo, avere idee chiare sull’utilità della pianificazione e del quadro orario settimanale.

Ne proponiamo alcune alla tua riflessione, che potrai vagliare in classe e verificare nella tua giornata.

  1. La pianificazione fa guadagnare tempo. Infatti favorisce un migliore rendimento negli studi e lascia il giusto spazio agli interessi e alle esigenze extrascolastiche.
  2. 2. Il quadro orario settimanale, messo bene in vista nel luogo dove solitamente si studia, dovrebbe tener conto: della mole di lavoro, delle difficoltà e delle preferenze dello studente nelle singole materie, di eventuali esigenze di ripasso e di approfondimento.

In altre parole, non deve essere fisso ed immutabile, ma adattabile alle necessità dello studio e dello studente.

  1. Lo studente intelligente prepara ogni giorno su un foglio o sul diario l’elenco degli impegni, dei compiti e delle lezioni da studiare. Se alla sera ci si accorge di non aver svolto tutte le attività programmate, aggiunge queste all’elenco del giorno seguente.
  2. Lo studente intelligente distribuisce le attività di studio in modo logico ed equilibrato: alterna, ad esempio, materie letterarie ad argomenti scientifici; non lascia per ultima la disciplina più difficile o quella che piace di meno.
  3. Fissa delle ore di studio tutti i giorni. Anche quando non ci sono in vista interrogazioni o compiti da svolgere, egli mantiene due-tre ore di studio nel proprio quadro orario per riprendere, approfondire o anticipare delle lezioni o semplicemente per leggere.
  4. Evita la frammentarietà, cioè di passare da un argomento all’altro come si passa da un canale televisivo all’altro.
  5. Quando un certo lavoro (ad esempio un tema, una ricerca) non gli viene assegnato con scadenze precise, il bravo studente annota sul proprio diario o una data o l’appunto “quanto prima”, per non trascinarsi a tempo indeterminato l’esecuzione del compito.

Meglio, per esempio, prepararsi al compito di inglese con 20 minuti al giorno che studiare 5 ore consecutive alla vigilia.

2 – Regole d’oro dello studente “professionista”

Anche lo studio ha le sue regole. Possono essere regole imposte dalla scuola (orari, programmi, interrogazioni, compiti, valutazioni, ecc.), dalla classe, dalla famiglia, dalla situazione. Oppure spontanee: assunte liberamente per raggiungere degli scopi.

Le une e le altre, se accolte e rispettate in modo serio e coerente, sono espressione di ciò che potremmo chiamareautodisciplina dello studente.

1 – Accettare se stessi

Nello studio “ciò che importa è conoscersi ed accettarsi” (J. Guitton). È necessario che uno veda se stesso per quello che è; che non presuma troppo da sé, ma nemmeno che sottovaluti le proprie forze.

È importante che ognuno stimi se stesso, valutando le proprie capacità per quello che sono, senza confondere la realtà con il desiderio o con la fantasia, senza presunzioni né vittimismo.

2 – Imparare sempre

Per riuscire nello studio occorre essere pronti a fare esperienza di quello che si incontra nelle diverse circostanze della vita.

Il vero studente, infatti, è uno che sa imparare da tutto e da tutti, cioè sa vivere. Si appassiona allo sport, agli amici, alla musica. Sa divertirsi, partecipare ad una gita, gustare un film, stare in compagnia, ecc.

Ne consegue una regola preziosa per chi vuole effettivamente studiare e riuscire negli studi: vivere fino in fondo la propria condizione umana, coltivando i propri interessi, cercando di imparare sempre e dovunque.

3 – Non sciupare né errori né insuccessi

Lo studio, come ogni altra attività umana, richiede impegno, per cui urta prima o poi contro svariate difficoltà ed un mucchio di errori. In questa situazione è facile cadere nello scoraggiamento ed essere tentati di abbandonare il campo.

Occorre non sciupare la risorsa errore.

4 – Né semilavoro, né semiriposo

La regola d’oro del lavoro intellettuale può formularsi così: “Non tollerare né semilavoro né semiriposo. Datti tutto intero o distenditi in modo completo. Che non ci siano mai in te mescolanze del genere”. (J. Guitton)

5 – Non stare soli

Chi studia rimanendo sempre solo perché si pensa “staccato” da tutti è uno studente in pericolo (Pascal Ide). Da qui l’invito a cercare l’appoggio e il contatto con altri (compagni, docenti, genitori, ecc.)

Cooperative Learning:

definizione

L’apprendimento cooperativo (Cooperative Learning, CL) è un metodo che coinvolge gli studenti nel lavoro di gruppo per raggiungere un fine comune. Perché il lavoro di gruppo si qualifichi come CL devono essere presenti i seguenti elementi:

  1. Positiva interdipendenza. I membri del gruppo fanno affidamento gli uni sugli altri per raggiungere lo scopo. Se qualcuno nel gruppo non fa la propria parte, anche gli altri ne subiscono le conseguenze. Gli studenti si devono sentire responsabili del loro personale apprendimento e dell’apprendimento degli altri membri del gruppo .
  2. Responsabilità individuale. Tutti gli studenti di un gruppo devono rendere conto sia della propria parte di lavoro sia di quanto hanno appreso. Ogni studente, nelle verifiche, dovrà dimostrare personalmente quanto ha imparato.
  3. Interazione faccia a faccia. Benché parte del lavoro di gruppo possa essere spartita e svolta individualmente, è necessario che i componenti il gruppo lavorino in modo interattivo, verificando gli uni con gli altri la catena del ragionamento, le conclusioni, le difficoltà e fornendosi il feedback. In questo modo si ottiene anche un altro vantaggio: gli studenti si insegnano a vicenda.
  4. Uso appropriato delle abilità nella collaborazione. Gli studenti nel gruppo vengono incoraggiati e aiutati a sviluppare la fiducia nelle proprie capacità, la leadership, la comunicazione, il prendere delle decisioni e il difenderle, la gestione dei conflitti nei rapporti interpersonali.
  5. Valutazione del lavoro. I membri, periodicamente valutano l’efficacia del loro lavoro e il funzionamento del gruppo, e individuano i cambiamenti necessari per migliorarne l’efficienza.

Le forme di Cooperative Learning

Gli esperti di CL distinguono tra cooperative learning informale, esercizi brevi assegnati in classe a gruppi non fissi di due o più studenti, e cooperative learning formale, esercizi più lunghi e impegnativi assegnati a gruppi di studenti che lavorano insieme per una parte significativa del corso. I risultati didattici in entrambi i casi sono efficaci.

Nel CL informale, viene chiesto agli studenti di mettersi insieme in gruppi di 2 – 4 persone. Si assegna il compito di scrivere ad uno scelto a caso (gli studenti si contano, 1, 2, 3, … e il docente assegna il compito: “il numero 2 di ogni gruppo scriverà questo esercizio”). Il docente propone poi una domanda o un problema, dando agli studenti un tempo compreso tra i 30 secondi e i 5 minuti per lavorare. Soltanto a quello scelto è permesso di scrivere. Allo scadere del tempo l’insegnante chiede ad alcuni studenti, appartenenti a gruppi diversi, la risposta elaborata dal proprio gruppo.

La questione posta dal docente può riguardare spiegazioni precedenti, l’impostazione della soluzione di un problema, il completamento di passaggi mancanti in un procedimento di calcolo o in una procedura sperimentale, la formulazione di una spiegazione su una osservazione sperimentale, l’ ipotesi di una serie di cause, il riassunto di una lezione, la formulazione di una o due domande sugli argomenti relativi ad una certa lezione, l’elenco di possibili difetti di un esperimento o di un progetto, o la risposta a domande che il docente normalmente fa alla classe durante una spiegazione.

Una variante a questo metodo è la coppia che ragiona insieme (think-pair-share). Il docente prima chiede a ciascuno studente di formulare singolarmente la risposta, poi di unirsi in coppie e costruirne una sola, a partire dalle due risposte individualmente già date. Infine il docente invita alcuni studenti, appartenenti a coppie diverse, ad esporre la risposta.

La scelta di questi studenti non deve essere fatta né in anticipo, né sulla base della volontarietà. Infatti se il docente chiedesse di rispondere solo a dei volontari o ad alunni preventivamente individuati, verrebbe meno l’ incentivo per la partecipazione attiva di tutti, che è invece l’essenza di questo metodo . Se gli studenti sanno che chiunque può essere chiamato, tutti, o quantomeno la maggioranza, sono motivati a predisporre la miglior risposta possibile.

Nel CL formale, gli studenti lavorano in gruppi su problemi, su progetti o su relazioni di laboratorio. Il lavoro può essere fatto tutto o in parte in classe, o fuori della classe. Una interdipendenza positiva si ottiene assegnando ruoli differenti ai vari membri del gruppo, fornendo un training specifico sui differenti aspetti del progetto ai diversi membri del gruppo e assegnando a caso a ciascuno studente una relazione su una parte del progetto.

Alla fine si valuterà sia ogni singola relazione, sia il progetto complessivo del gruppo.

L’impegno individuale viene assicurato esaminando ogni studente su ogni aspetto del progetto elaborato dal gruppo.

 

Come mettere in pratica il Cooperative Learning: istruzioni per l’insegnante

L’apprendimento cooperativo è una tecnica di insegnamento centrata sullo studente che interagisce con altri studenti, ma è sempre il docente che propone i problemi da risolvere, che fissa i tempi, che fornisce gli spunti ai gruppi che lo richiedono, che stabilisce chi deve rispondere, e così via.

Perché la tecnica CL risulti vantaggiosa vanno prese delle precauzioni per evitare alcune situazioni svantaggiose o pericolose per l’apprendimento.

 

Regole per la formazione dei gruppi nel “CL formale”

I gruppi CL formali dovrebbero essere composti da studenti con diversi livelli di abilità.

Tutti gli studenti beneficiano da tale organizzazione: gli studenti più deboli hanno il beneficio di essere aiutati dai loro compagni maggiormente dotati, e gli studenti più preparati (che sono in genere quelli inizialmente ostili al lavoro di gruppo) forse ne traggono il beneficio maggiore, poiché potranno sperimentare quella fondamentale “prova cognitiva” che è l’imparare, insegnando.

Come ogni professore sa, anche quando si comprende un argomento, l’esercizio di formulare spiegazioni, pensare a degli esempi e rispondere alle domande, permette un approfondimento della comprensione non raggiungibile in altro modo.

Se si costituissero dei gruppi interamente formati dagli studenti migliori questi, con tutta probabilità, si dividerebbero il lavoro e completerebbero la loro parte separatamente piuttosto che funzionare come vero e proprio gruppo. E poiché non hanno la necessità di spiegare ad altri, non avrebbero il beneficio dell’apprendimento profondo che viene dalla “prova cognitiva” (imparare insegnando).

Un altra regola per la formazione dei gruppi è che i membri delle minoranze di razza o di sesso non devono essere in minoranza nei gruppi. Gli studenti appartenenti alle minoranze tendono ad assumere un ruolo più passivo all’interno dei gruppi, o per loro scelta o perché forzati in questo ruolo dai loro compagni; il gruppo perderebbe perciò molti dei benefici dell’apprendimento CL. Se ad esempio le donne sono una minoranza tra gli iscritti al corso, si potranno costituire gruppi formati da tutti uomini, tutte donne, un numero pari tra i due sessi o una maggioranza di donne, ma devono essere evitati gruppi con più uomini che donne.

Entrambe queste regole, livelli misti di abilità e evitare che le minoranze siano minoranza nei gruppi, indicano che l’insegnante deve formare i gruppi piuttosto che lasciare agli studenti il compito di organizzarsi, e certamente le ricerche finora svolte appoggiano questa conclusione. Quando gli studenti formano i gruppi, gli amici tendono a mettersi insieme e i migliori studenti si cercano a vicenda.

Un buon sistema per formare i gruppi è quello di formare a caso dei gruppi provvisori, di norma, per le prime tre settimane di un corso; fare una prova scritta durante questo periodo e usare i risultati come indicatori di abilità per formare i gruppi permanenti. Se gli studenti obiettano circa la loro assegnazione ad un determinato gruppo, una risposta efficace è quella di sottolineare che quando andranno nel mondo del lavoro non avranno la possibilità di scegliere con chi lavorare: tanto vale abituarsi fin da ora a questa realtà.

Nella letteratura non c’è unanime consenso sul numero dei componenti il gruppo. Di norma i gruppi con tre studenti sono quelli che funzionano meglio. Gruppi formati da tre studenti vengono considerati ottimali anche nella risoluzione di problemi di fisica e nel fare le relazioni su esperienze di laboratorio .

I ruoli individuali nei gruppi

In un gruppo di tre, ci si aspetta che ciascun membro rivesta uno dei seguenti ruoli: 1) leader; 2) scettico; 3) controllore.

Durante la discussione nel gruppo, ogni componente ha la responsabilità di prendere in considerazione questioni che vengono sollevate da un altro membro e che sono rilevanti o pertinenti rispetto al ruolo che esso riveste. Ogni membro del gruppo deve sentire l’obbligo di aiutare il gruppo a lavorare efficacemente, senza perdere tempo. E’ necessario fornire agli studenti una traccia per definire le responsabilità e una guida per la discussione.

Leader/Coordinatore. Le responsabilità del coordinatore sono: 1) organizzare le riunioni del gruppo; 2) presiedere e facilitare la discussione nel gruppo; 3) mantenere l’attenzione del gruppo focalizzata sulla soluzione del compito; 4) incoraggiare il gruppo ad affrontare il problema secondo una successione di stadi; 5) incoraggiare la partecipazione di tutti i membri del gruppo nel processo di problem solving.

Vengono esemplificate alcune domande che il leader può porre o commenti appropriati che il coordinatore può fare.

Ciascuno spieghi o sintetizzi il testo del problema. Possiamo usare un diagramma o ricorrere ad uno schema per chiarire il problema o una parte di esso? Qual è l’incognita o cosa richiede il problema? Elenchiamo le ipotesi, le assunzioni e le difficoltà. Concentriamoci sul problema. Elenchiamo tutti i metodi possibili di risoluzione. Qual è l’algoritmo più generale che permette la soluzione di questo problema? Possiamo considerare questo punto quando specifichiamo nel dettaglio la successione dei passaggi. Passiamo al prossimo stadio. In che maniera puoi difendere questa tua convinzione?

Scettico. Lo scettico pone frequentemente domande rispetto al procedimento di soluzione del problema, cerca spiegazioni e chiede valutazioni. Non si accontenta di “si” o “no”, ma ricorda che l’enfasi deve essere posta sul “perché” o sul “come” e sulle relazioni con informazioni e algoritmi precedentemente noti.

E’ compito dello scettico stimolare il gruppo nella ricerca di soluzioni alternative.

Le responsabilità dello scettico sono: 1) porre domande sulla ragione per cui si esegue un certo passaggio o si segue una particolare direzione nel tentativo di risolvere il problema; 2) cercare di pensare e proporre soluzioni alternative al problema; 3) determinare il numero di cifre significative in ogni calcolo; 4) stabilire se il risultato in un certo passaggio ha senso o meno; 5) focalizzare o identificare ogni assunzione fatta nella risoluzione del problema, dimostrando la correttezza o la falsità dell’assunzione considerata.

Vengono esemplificate alcune domande che lo scettico può porre o commenti appropriati che lo scettico può fare.

Perché stiamo facendo questo passaggio? Come può la risposta a questo passaggio permetterci di giungere ad una soluzione accettabile del problema? Prima di fare questo passaggio, dobbiamo considerare questo punto. Abbiamo bisogno di tutte queste cifre significative? Dobbiamo usare un numero maggiore di cifre significative? La nostra risposta ha senso? Come mai non è in accordo con la nostra stima? Quali assunzioni abbiamo fatto nella risoluzione di questo problema?

Controllore. Le responsabilità del controllore sono: 1) controllare se tutti i dati e le informazioni del testo (anche quelle derivanti da inferenze) sono state considerate; 2) tenere traccia della discussione del gruppo; 3) scrivere la soluzione del problema con tutti i passaggi e far controllare agli altri membri del gruppo la stessa; 4) incoraggiare gli altri membri del gruppo a fare la verifica; 5) preparare una versione “in bella” della soluzione del problema per il professore.

Vengono esemplificate alcune domande che il controllore può porre o commenti appropriati che il controllore può fare.

Il libro di testo potrebbe aiutarci? Quali altre fonti di informazioni che ci possono essere utili? Ciascuno nel gruppo dovrebbe controllare questo calcolo. Prima che scrivo la soluzione, siamo tutti d’accordo sul procedimento? Come possiamo fare la verifica? E’ necessario dimostrare la validità di questa assunzione.

In un gruppo di quattro, un ruolo ulteriore è quello del “revisore“, con la responsabilità di verificare che quanto preparato da chi prende nota sia privo di errori.

Valutazione da parte degli studenti del funzionamento del gruppo

Uno degli elementi essenziali della CL formale è la valutazione periodica che gli studenti fanno del buon funzionamento del loro gruppo, identificando i problemi e suggerendo soluzioni.

La loro tendenza naturale è quella di evitare di confrontarsi con i problemi e la maggior parte degli studenti si confronterà, solo se forzata. Periodicamente ai gruppi dovrebbe essere richiesto di rispondere per iscritto a queste tre domande: (1) Che cosa come gruppo riusciamo a fare bene? (2) Che cosa potremmo fare meglio? (3) C’è qualcosa che in futuro potremmo fare in modo differente?

L’atto di formulare risposte a queste domande spesso avvia delle discussioni tra i membri del gruppo su problemi interpersonali di vario tipo e queste discussioni possono mettere in allerta l’insegnante su potenziali disfunzioni nei gruppi. Questi problemi possono essere risolti o dagli studenti stessi o con l’intervento del docente.