Arte deportazione

Anno scolastico 2023/2024

Progetto di educazione civica

Presentazione

Data

dal 23 Aprile 2024 al 30 Aprile 2025

Descrizione del progetto

I ragazzi della 4C hanno scritto un testo in italiano e tedesco sulle opere d’arte di Bolzano che si riferiscono al lager di Bolzano

Di seguito il lavoro svolto:

Christine Tschager e i monumenti legati alla deportazione 

 Nel 2005 in occasione delle manifestazioni per il 60° anniversario della Liberazione, il Comune di Bolzano ha inaugurato 4 opere artistiche collocate in 3 siti della memoria della deportazione a Bolzano.

Le opere sono state realizzate da Christine Tschager, vincitrice del concorso internazionale per 4 opere artistiche in 3 siti della memoria della deportazione a Bolzano. Quelli presi in considerazione da noi sono due dei tre monumenti alle vittime del campo di transito di Bolzano realizzati da Christine Tschager. 


In quest’immagine si possono vedere svariate coppie di stivali e una coppia di impronte, poste su una piattaforma di marmo con una scritta che recita: “Arbeit macht frei”.

La scelta dell’artista di produrre solamente gli stivali e i piedi è dovuta al fatto di voler enfatizzare il concetto di lavoro e della fatica.

I volti non sono stati rappresentati perché non era l’individuo singolo a essere preso in considerazione, bensì nella sua dimensione collettiva.

Il lavoro in queste circostanze spregevoli, unisce le persone e dà loro una forma di speranza, anche se negativa. Gli stivali appartenevano presumibilmente ad un generale, mentre i piedi scalzi simboleggiavano i deportati.

Qui si può notare il rapporto di sottomissione del lavoratore in rispetto al Führer, la contrapposizione tra l’autorità e il quasi schiavo. L’opera si trova in Via Claudia Augusta, nei pressi del campo sportivo Coni, dove si trovava un luogo di lavoro forzato all’interno della galleria del Virgolo, legato al campo di transito di Via Resia.



In quest’immagine si può notare un blocco di marmo, sul quale sono posti dei bagagli. 

La scritta presenta i nomi dei campi di concentramento nazisti verso i quali venivano destinati i convogli carichi dei deportati che partivano dal campo di transito di Via Resia.

I bagagli rappresentano il viaggio che dovevano affrontare i deportati. Vestiti, accessori e altri oggetti personali perdono di importanza materiale e acquisiscono una rilevanza emotiva. Questa scultura si trova in Via Pacinotti, nella zona industriale di Bolzano, dove una volta si trovava un luogo di partenza per i treni che trasportavano i deportati del campo di Via Resia verso altri Lager oltre il Brennero.

 

 

Block F

Di fronte al muro dell’ex Lager nazista di via Resia sono presenti altre due opere realizzate da  Christine Tschager in occasione del concorso del 2005 dedicato al 60° anniversario della Liberazione.

Un’opera rappresenta una massa informe, dove non si riconoscono parti umane da nessuna parte e a primo acchito sembrerebbe un tronco. Sopra a questa scultura appare scritto BLOCK F., che era il blocco destinato alla detenzione delle donne, dove trovavano posto un minimo di 100 detenute. A loro e alla loro difficile situazione all’interno della deportazione è infatti dedicata l’opera d’arte.

Il Lager di Bolzano era organizzato in diversi blocchi, sempre contrassegnati da una lettera. Il blocco A era per i lavoratori fissi, il blocco D e il blocco E erano per i prigionieri politici. Il blocco L era destinato agli ebrei di sesso maschile.

 

L’artista voleva rappresentare la mostruosità e l’orrore dei campi di concentramento, e come gli uomini all’interno venivano considerati, non esseri umani, né animali, ma cose

Nella seconda opera invece possiamo vedere una lastra di marmo con delle sporgenze. Queste masse sembrano braccia e gambe delle persone che un tempo erano deportate nel Lager. Non si riesce a capire se le braccia siano maschili o femminili.

Secondo noi il rilievo, realizzato da Christine Tschager, rappresenta la ricerca della libertà che all’epoca non era scontata. Le braccia sembrano uscire dal muro cercando di liberarsi, senza riuscirci, rimanendo intrappolate nel muro, che rappresenta i campi e l’atteggiamento freddo delle guardie che non lasciavano uscire, ma in generale, vivere i prigionieri. Lasciandoli senza fiato, intrappolati in campi che col tempo sembravano diventare sempre più piccoli e l’atmosfera sempre più asfissiante, come descrivono alcuni detenuti rinchiusi.


La statua di San Pio X

Sul prato davanti alla Chiesa, lungo via Resia, sono collocati una stele iscritta e una statua.
La stele venne progettata da Guido Pelizzari nel 1965 e nel 1985 fu rimaneggiata, incidendo la pianta del Lager, ora non più visibile. Sulla stele è incisa la data “1943-1945”. La statua vicina è stata aggiunta successivamente. Essa è composta da una figura maschile e una femminile che urlano al cielo il dolore della loro tragica condizione tenendosi per mano. Questa opera è dello scultore locale Claudio Trevi.
Ai piedi della statua è incisa la scritta bilingue “A RICORDO DEGLI INTERNATI E DELLE
VITTIME DEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI BOLZANO 1944-1945”. Mentre sulla stele è incisa la scritta bilingue “1943-1945 UOMINI DI DIVERSA NAZIONALITÀ QUI SOFFRIRONO E PERIRONO PER LA LIBERTÀ NELLA LOTTA CONTRO IL NAZI-FASCISMO – LA CITTÀ DI BOLZANO NEL 40° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE”.
La donna e l’uomo si tengono per mano e guardano il cielo in segno di disperazione.
Sembra che essi stiano urlando rivolti verso il cielo in cerca di un aiuto divino.
Questa statua suscita molta sofferenza e compassione in coloro che la guardano.

A parer nostro la stretta di mano simboleggia solidarietà e potrebbe anche essere simbolo di forza tra i due personaggi.

 

Fonti/Quellen:

(“Azienda di soggiorno e turismo di bolzano”)

Autore/Author: Leone Sticcotti https://quimedia.it/rubriche/cG9zdDoxMTI3

Installazione commemorativa

 

In via Resia, nei pressi del muro dell’ex campo di transito, c’è un’installazione commemorativa che ricorda i nomi di uomini, donne e bambini che furono richiusi nel Lager nazista di Bolzano tra il 1944 e il 1945. Furono deportate più o meno 11.000 persone.

Questo muro ha diversi blocchi in cui sono scritti più di 8.200 nomi di prigionieri che si illuminano ogni giorno continuamente ed è composto da 32 lastre di vetro incastonate in un muro di acciaio.

Alcuni esempi dei nomi sull’installazione che si illumina sono Livio Tullo Cavazzani,

Vittorio Mondino, Plinio Cozzi, Adriana Segre, Andrea de Filippo, Aldo Vespa, Arnaldo

Fenoglio e Henriette Salomon Lindau.

Questa installazione ci suscita diverse emozioni ogni volta che ci passiamo davanti, tra queste: angoscia, tristezza e impotenza. Inoltre suscita rispetto e il desiderio di non dimenticare le atrocità del passato. Ma inevitabilmente anche un senso di rabbia nei confronti delle ingiustizie storiche, un impegno per la pace e i diritti umani, e una riflessione profonda sulla fragilità della libertà e sulla necessità di proteggerla. Per le nuove generazioni può essere un insegnamento per imparare di più sulla storia e di impegnarsi attivamente per prevenire simili tragedie in futuro.

Loew Cadonna 

 

Wilhelm Alexander Loew Cadonna (1870-1944), fu un avvocato viennese che dopo la prima guerra mondiale si stabilì a Bolzano. 

Fu perseguitato per la sua discendenza ebraica, durante l’occupazione nazista della provincia di Bolzano (1943-45). Loew-Cadonna fu internato nel lager nazista di Bolzano e qui brutalmente torturato. Morì poi nel 1944, a 74 anni, mentre veniva trasferito da Bolzano ad Auschwitz. Dopo la sua deportazione la famiglia non seppe più nulla di lui.

Per ricordare le sue azioni e il suo coraggio, nel 2011 fu inaugurata una piazzetta in suo nome nella zona antistante il Distretto Sanitario, all’angolo con via Amba Alagi. 

Nel 2013, invece, il comune ha collocato una targa-ricordo permanente nella piazza Wilhelm Alexander Loew Cadonna. 

Poi nel 2014, in occasione dei 70 anni dalla sua scomparsa, è stata predisposta una memoria permanente nella piazzetta a lui dedicata. 


Secondo noi, è importante non dimenticare le persone che sono state deportate e uccise durante la seconda guerra mondiale. 

I monumenti per ricordare le vittime dell’Olocausto sono importanti perché ci aiutano a non dimenticare ciò che è successo. Sono come segnali che ci ricordano di essere buoni e rispettosi verso gli altri, perché l’odio può portare a cose terribili. Questi monumenti ci insegnano anche a imparare dagli errori commessi nel passato, per far modo che tragedie simili non accadano mai più.




Wilhelm Alexander Loew Cadonna (9 giugno 1873-1944), fu un avvocato viennese che dopo la prima guerra mondiale si stabilì a Bolzano. Suo padre, Max Anton Loew lavorava come avvocato per la Nunziatura Apostolica di Vienna e lui, ancora liceale decise di convertirsi all’ebraismo al cattolicesimo nel 1887 e di iniziare anche lui gli stessi studi del padre per poter praticare la stessa professione. Allo scoppio della prima guerra mondiale Wilhelm combatté per l’esercito austro-ungarico ma quando si trovò in Trentino si rifugiò presso una famiglia trentina di cognome Cadonna, dove conobbe la giovane Beatrice Cadonna che poi sposò. Decise così di non tornare in Austria dopo la guerra e di trasferirsi con la moglie prima a Caldaro e poi, dal 1928 a Bolzano.

Fu perseguitato per la sua discendenza ebraica, durante l’occupazione nazista della provincia di Bolzano (1943-45). Loew-Cadonna fu internato nel lager nazista di Bolzano e qui brutalmente torturato. Morì poi nel 1944, a 74 anni, mentre veniva trasferito da Bolzano ad Auschwitz. Dopo la sua deportazione la famiglia non seppe più nulla di lui.

Per ricordare le sue azioni e il suo coraggio, nel 2011 fu inaugurata una piazzetta in suo nome nella zona antistante il Distretto Sanitario, all’angolo con via Amba Alagi.

Nel 2013, invece, il comune ha collocato una targa-ricordo permanente nella piazza Wilhelm Alexander Loew Cadonna.

Poi nel 2014, in occasione dei 70 anni dalla sua scomparsa, è stata predisposta una memoria permanente nella piazzetta a lui dedicata. Nell’agosto del 2019 è stata realizzata una pietra d’inciampo per ricordarlo ed é stata collocata in Piazza Erbe 7 a Bolzano, ovvero davanti al suo ultimo posto di lavoro.

Le pietre d’inciampo, ideate dall’artista berlinese Gunter Demnig, sono considerate piccole opere d’arte urbana per rendere giustizia alla memoria delle tante persone deportate nei campi di sterminio nazisti. Si tratta di semplici cubetti di porfido di 10 cm per lato con sopra una targa di ottone che li rende più visibili, dove è stata incisa una scritta con il nome e cognome, la data e il luogo di nascita e di morte del deportato. Le date di morte si limitano spesso solo all’anno. Queste pietre d’inciampo vengono poste davanti ai posti dove i deportati vivevano o dove sono stati arrestati, oppure, come nel caso di Loew Cadonna, dove lavoravano e segnalano un’assenza contribuendo a far tornare in vita il ricordo.

Secondo noi, è importante non dimenticare le persone che sono state deportate e uccise durante la seconda guerra mondiale.

I monumenti per ricordare le vittime dell’Olocausto sono importanti perché ci aiutano a non dimenticare ciò che é successo. Sono come segnali che ci ricordano di essere buoni e rispettosi verso gli altri, perché l’odio può portare a cose terribili. Questi monumenti ci insegnano anche a imparare dagli errori commessi nel passato, per far modo che tragedie simili non accadano mai più.

 

Christine Tschager und die Denkmäler im Zusammenhang mit der Deportation

 

Im Jahr 2005 wurden anlässlich des 60. Jahrestages der Befreiung vom Nazifaschismus von der Gemeinde Bozen 4 künstlerische Werke an 3 Deportationsgedenkstätten in Bozen eingeweiht.

Die Werke wurden von Christine Tschager geschaffen, der Gewinnerin des internationalen Wettbewerbs für 4 künstlerische Arbeiten an 3 Deportationsgedenkstätten in Bozen.


Auf diesem Bild sieht man mehrere Stiefelpaare und Fußspuren auf einem Marmorpodest mit der Inschrift „Arbeit macht frei”.

Die Entscheidung der Künstlerin, nur die Stiefel und Füße darzustellen, ist darauf zurückzuführen, dass sie das Konzept von Arbeit und Müdigkeit betonen wollte.

Die Gesichter wurden nicht dargestellt, weil nicht das Individuum, sondern die kollektive Dimension aufgenommen wurde.

Die Arbeit unter diesen menschenunwürdigen Bedingungen verbindet die Menschen und gibt ihnen eine Form der Hoffnung, auch wenn sie negativ ist. Die Stiefel gehörten vermutlich zu einem General, während die nackten Füße die Deportierten symbolisierten.

Hier sieht man die Unterwerfung des Arbeiters im Verhältnis zum Führer, den Gegensatz zwischen der Autorität und dem Quasi-Sklaven. Das Werk befindet sich in der Via Claudia Augusta, in der Nähe des Sportplatzes Coni, wo sich im Virgltunnel ein Zwangsarbeitslager befand, das zum Durchgangslager in der Reschenstraße gehörte.

 


Auf diesem Bild ist ein Marmorblock zu sehen, auf dem Gepäckstücke platziert sind.

Die Inschrift zeigt die Namen der nationalsozialistischen Konzentrationslager, in die die Konvois der Deportierten, die das Durchgangslager Reschenstraße verließen, gebracht wurden.

Das Gepäck steht für die Reise, die die Deportierten machen mussten. Kleidung, Accessoires und andere persönliche Gegenstände verlieren an materieller Bedeutung und gewinnen an emotionaler Relevanz. Die Skulptur befindet sich in der Pacinotti-Straße im Bozner Industriegebiet, wo einst die Züge abfuhren, die die Deportierten aus dem Lager Reschenstraße in andere Lager jenseits des Brennerpasses transportierten.


Block F

Gegenüber der Mauer des Durchgangslagers in der Reschenstraße gibt es weitere zwei Werke von Christine Tschager, die anlässlich des 60. Jahrestages der Befreiung vom Nazifaschismus realisiert wurden.

Das Kunstwerk präsentiert eine formlose Masse, wo man keine Körperteile erkennen kann. Auf den ersten Anblick scheint es sich um einen Baumstumpf zu handeln.

Auf der Skulptur steht “Block F”, der Ort, der für die Inhaftierung von mindestens hundert Frauen bestimmt war. Dieses Kunstwerk ist diesen Frauen und ihrer schwierigen Situation gewidmet.

Das Durchgangslager von Bozen war in mehrere Blöcke unterteilt, welche jeweils mit einem Buchstaben markiert waren. Der Block A war für die Arbeiter, Block D und E waren für politische Gefangene, Block L war für jüdische Männer bestimmt.

Der Künstler wollte den Horror und den Schrecken, welchen die Menschen in den Konzentrationslagern erlebten, widerspiegeln. Sie wurden weder als Mensch noch als Tier angesehen, jedoch als Objekte.

Im zweiten Kunstwerk kann man ein Marmorblock mit Auswölbungen sehen. Diese Auswölbungen scheinen wie Arme und Beine der Personen, welche im Konzentrationslager gefangen waren. Man kann nicht erkennen, ob die Beine und Arme männlich oder weiblich sind.

Unserer Meinung nach, repräsentiert die Statue von Christine Tschager, eine Suche nach Freiheit, welche in dieser Zeit nicht gegeben war. Die Arme schauen aus, als ob sie sich befreien wollen, ohne es zu schaffen, welches das kalte Verhalten der Wachen repräsentiert, welche die Gefangenen nicht frei lassen wollen.

 

Die Statue von St. Pius X

 

Auf dem Rasen der Kirche Pius X, entlang der Reschenstraße, steht ein Steinmal mit einer Inschrift und eine Statue, die zwei Personen darstellt. Das Steinmal wurde 1965 von Guido Pelizzari entworfen. Im Jahr 1985 wurde das Steinmal umgestaltet und der Plan des Lagers eingraviert, der jetzt nicht mehr sichtbar ist. Auf dem Steinmal ist die Jahreszahl “1943-1945” eingraviert. Die Statue wurde im Nachhinein hinzugefügt. Die Statue von Claudio Trevi zeigt eine Frau und einen Mann, die händehaltend ihre tragische Situation in den Himmel schreien. Auf dem unteren Teil der Statue wurde die folgende Schrift in deutsch und italienisch aufgebracht: „ZUM GEDENKEN AN DIE INTERNIERTEN UND OPFER DES KONZENTRATIONSLAGERS VON BOZEN 1944-1945”.

Auch auf dem Steinmal ist eine Schrift aufgebracht: ,,HIER LITTEN UND STARBEN MANNER VERSCHIEDENER VOLKER IM KAMPF GEGEN DEN NAZI FASCHISMUS FÜR DIE FREIHEIT-DIE STADT BOZEN ZUM 40 GEDENKJAHR DER BEFRIEDIGUNG”.

Der Mann und die Frau, die sich umarmen, schauen in den Himmel als Zeichen ihrer Verzweiflung. Es scheint, als würden sie nach der Hilfe Gottes schreien. Diese Statue erweckt das Gefühl des Leidens und des Mitgefühls. Uns scheint, die Umarmung symbolisiert Solidarität und ein Zeichen der Stärke.

fonti/Quellen:

(“Azienda di soggiorno e turismo di bolzano”)

Autore/Author: Leone Sticcotti https://quimedia.it/rubriche/cG9zdDoxMTI3

 

Gedenkstätte an den Opfern des Durchgangslagers

In der Reschenstraße neben der Mauer des Ex- Durchgangslagers befindet sich eine Gedenkstätte die an die Namen von Männern, Frauen und Kindern erinnert, die zwischen 1944 und 1945 in Bozen von den Nazis deportiert wurden. Es wurden etwa 11.000 Personen deportiert. Diese Mauer besteht aus 32 verschiedenen in eine Stahlmauer eingerahmte Blöcke mit den Namen von 8200 deportierten Personen, die jeden Tag kontinuierlich leuchten.

Einige Beispiele für die Namen auf den Blöcken sind Livio Tullo Cavazzani, Vittorio Mondino, Plinio Cozzi, Adriana Segre, Andrea de Filippo, Aldo Vespa, Arnaldo Fenoglio e Henriette Salomon Lindau.

Diese Gedenkstätte ruft jedes Mal verschiedene Emotionen in uns hervor, wie Angst, Traurigkeit und Ohnmacht. Gleichzeitig ruft sie den Wunsch in uns auf die Grausamkeiten der Vergangenheit nicht zu vergessen. Aber unweigerlich auch ein Gefühl der Wut gegenüber historischen Ungerechtigkeiten, ein Engagement für Frieden und Menschenrechte und eine tiefe Reflexion über die Fragilität der Freiheit und die Notwendigkeit sie zu schützen. Dies kann eine Lehre für die jüngeren Generationen sein um mehr über die Geschichte zu erfahren und sich aktiv dafür einzusetzen solche Tragödien in der Zukunft zu vermeiden.

 

Loew Cadonna

Wilhelm Alexander Loew Cadonna (9. Juni 1873 – 1944) war ein Wiener Anwalt, der sich nach dem Ersten Weltkrieg in Bozen niederließ. Sein Vater Max Anton Loew, arbeitete als Anwalt für die Apostolische Nuntiatur in Wien. Als Schüler entschied sich Wilhelm im Jahre 1887 vom Judentum zum Katholizismus zu bekehren und die gleiche berufliche Laufbahn wie sein Vater einzuschlagen. Während des Ersten Weltkriegs kämpfte Wilhelm für die österreichisch-ungarische Armee. Als er sich im Trentino befand, fand er Zuflucht bei einer trientner Familie namens Cadonna, wo er die junge Beatrice Cadonna kennenlernte und später heiratete. Nach dem Krieg kehrte er nicht nach Österreich zurück, sondern zog mit seiner Frau zunächst nach Kaltern und dann ab 1928 nach Bozen.

Während der nationalsozialistischen Besetzung der Provinz Bozen (1943-45) wurde er

aufgrund seiner jüdischen Abstammung verfolgt. Loew-Cadonna wurde im Nazi-Lager in

Bozen interniert und dort brutal gefoltert. Im Jahr 1944, im Alter von 74 Jahren, wurde er

von Bozen nach Auschwitz überführt und starb dort. Nach seiner Deportation verlor

seine Familie jegliche Spur von ihm.

Zur Erinnerung an seine Taten und seinen Mut wurde im Jahr 2011 ein kleiner Platz vor dem Gesundheitsbezirk, an der Ecke der Amba Alagi Straße, nach ihm benannt. Im Jahr 2013 wurde auf dem Wilhelm-Alexander-Loew-Cadonna-Platz eine Gedenktafel enthüllt. 2014 wurde anlässlich seines 70. Todestags eine weitere Gedenkstätte auf dem Platz errichtet. Im August 2019 wurde vor seinem letzten Arbeitsplatz in Bozen, auf dem Obstplatz 7, ein Stolperstein verlegt, um an ihn zu erinnern.

Die Stolpersteine, die vom Berliner Künstler Gunter Demnig entworfen wurden, sind kleine Kunstwerke im städtischen Raum, die der Erinnerung an die vielen Menschen dienen, die in die nationalsozialistischen Vernichtungslager deportiert wurden.

Es handelt sich um einfache Porphyrwürfel mit einer Seitenlänge von 10 cm und einer Messingplatte auf der Oberseite, auf der eine Inschrift mit dem Vor- und Nachnamen,dem Geburts- und dem Sterbedatum sowie dem Sterbeort eingraviert ist. Die Sterbedaten beschränken sich oft auf das Jahr. Diese Stolpersteine werden vor den Orten verlegt, an denen die Deportierten lebten oder verhaftet wurden, oder, wie im Fall von Loew Cadonna, an denen sie arbeiteten, und markieren eine Abwesenheit, die dazu beiträgt, die Erinnerung wieder lebendig werden zu lassen.

Unserer Meinung nach ist es wichtig, die Menschen, die während des Zweiten Weltkriegs deportiert und getötet wurden, nicht zu vergessen.

Denkmäler zur Erinnerung an die Opfer des Holocaust sind wichtig, weil sie uns helfen das Geschehene nicht zu vergessen. Sie sind wie Zeichen, die uns daran erinnern, gut und respektvoll gegenüber anderen zu sein, denn Hass kann zu schrecklichen Dingen führen. Diese Denkmäler lehren uns auch, aus den Fehlern der Vergangenheit zu lernen, damit sich ähnliche Tragödien nicht wiederholen.

 

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Obiettivi

approfondire elementi di educazione civica attraverso lo studio delle opere d'arte di Bolzano

Luogo

VIA MANCI 8

VIA MANCI 8, BOLZANO * BOZEN

Partecipanti

Classe 4C